Il futuro è ora - La voce degli adolescenti durante e dopo la pandemia - ottobre 2021

L’adolescenza è una fase di vita straordinaria ma allo stesso tempo disorientante, sia per quanto riguarda il vissuto degli adolescenti, sia per il vissuto di coloro che degli adolescenti devono prendersi cura. Tale fase di costruzione identitaria (corporea, sessuale, sociale), di “cambiamento catastrofico”, richiede compiti evolutivi specifici, quali la separazione e la differenziazione dai genitori e l’individuazione di se stessi. Fondamentale per l’adolescente è la possibilità di esplorare il mondo esterno e di mettersi alla prova, confrontandosi con il gruppo dei pari.
Già negli anni ’60 - ’70 lo psicologo E. Erikson evidenziava che la costruzione dell’identità in età adolescenziale è influenzata da fattori psicosociali quali abitudini familiari, comportamenti ripetitivi, che sanciscono l’appartenenza e la condivisione e aiutano ad attraversare, in maniera “sana”, le fasi evolutive e i problemi connessi.
La pandemia ha fatto “saltare” regole prestabilite e schemi consueti.
Quarantena e distanziamento sociale, misure di protezione dalla pandemia di Covid 19, hanno rappresentato potenziali fonti di stress per gli adolescenti proprio a causa del perdurare di cambiamenti repentini e prolungati nei ritmi quotidiani di vita familiare e scolastica (perdita di routine, riduzione delle possibilità educative e ludico/esplorative all’aperto…) e del “respirare” un clima di ansia/paura e incertezza per il futuro. Prevale un vissuto di sospensione nel presente, nell’incertezza, senza riuscire a immaginare e progettare il futuro, anche nei termini di una rappresentazione del Sé. La rappresentazione, la raffigurazione visiva, può essere una prima modalità di conferimento di senso, come espressione soggettiva del se’ in formazione e trasformazione.
Gli effetti della pandemia sono stati molteplici per i ragazzi: alcuni hanno reagito all’isolamento e al ritiro forzato dalla vita sociale manifestando un incremento di comportamenti o più infantili e regressivi, di maggiore dipendenza nei confronti delle figure genitoriali, o al contrario maggiormente aggressivi, conflittuali e distanzianti.
Altri si sono rivelati indifferenti al litigio con i genitori, perché hanno dato meno valore ai pensieri e alle parole delle figure parentali. Una criticità maggiore rispetto al conflitto continuo, perché nel disaccordo si ha un rapporto, una possibilità di scambio che viene a mancare con la silenziosità. Non c’è più neanche lo strillo, l’urlo, la rabbia e l’esplosione del litigio, perché si è creata una frattura, un’indifferenza.
Privati ormai da oltre un anno di esperienze di vita, opposte, sono state le reazioni da parte degli adolescenti nel manifestare il proprio disagio: il ritiro e l’aggressività.
La chiusura rispetto al mondo esterno è diventata a volte abbandono anche della Dad, dei contatti via social, con comparsa di somatizzazioni, di sentimenti negativi che stanno evolvendo in pericolosi quadri di disturbo post-traumatico da stress: angosce ipocondriache, depressione ansia, disturbo di panico, disturbo ossessivo-compulsivo.
Altre volte l’iperconnessone ha portato a disturbi del sonno, al sovvertimento dei normali ritmi di attività e riposo, alla perdita della stabilità anche emotiva che le routine quotidiane favoriscono. L’aggressività si è manifestata anche nei confronti dei coetanei o contro se stessi, come l’autolesionismo, la dipendenza da sostanze e farmaci, i disturbi del comportamento alimentare o i tentativi di suicidio.

Se a dare il buon esempio sono i figli

Un merito (e anche più di uno) tuttavia ai nostri adolescenti va dato: dalle fasi più restrittive della pandemia hanno dimostrato buon senso, rispetto per le regole di sicurezza e per l’altro.
Adesso è la volta del vaccino anti-Covid e del green pass: molti adolescenti vorrebbero fare il vaccino, ma non tutti i genitori glielo permettono. Il tema qui non è entrare nel merito del vaccinarsi o no, ma è porre l’accento sul buon esempio che stanno dandoci i ragazzi per tornare quanto prima a una nuova normalità. Dove poter anche attraversare il turbinio emotivo, psichico e fisico che è l’adolescenza, come si è sempre fatto, scontrandosi, ribellandosi, e confrontandosi con gli altri.
Se li si continua a tenere in una “bolla”, se non gli si permette di parlarci del perché delle loro motivazioni, delle loro ambizioni, se non chiediamo loro quali fonti hanno consultato per alimentare i loro pensieri e le loro convinzioni, e se non li si fa scegliere con responsabilità, allora li si sta iperproteggendo.
Il rischio è che troppa protezione si trasformi in minore crescita degli adolescenti, che non sappiano scegliere in autonomia quando saranno più grandi e che non sappiano affrontare le sfide che la vita, alla fine, chiede di superare a tutti noi. Questo, con buona probabilità, potrebbe innescare anche un altro circolo improduttivo: i giovani potrebbero sentirsi soli, lasciati da soli, potrebbero sentirsi ancora più incompresi.
Tuttavia in un mondo che ha smarrito i rituali di passaggio e non ha un dispositivo simbolico per indicare l’ingresso nell’età adulta, il ruolo del vaccino è fondamentale.
«Il vaccino ai giovani, è una possibilità per i nostri figli. C’è in gioco qualcosa di fondamentale e non riguarda solo l’aspetto sanitario. Il vaccino agli adolescenti è prima di tutto una grande esperienza civile. Non è solo un gesto legato al mio benessere o al benessere di chi vive con me. Ma è appunto un rituale civile straordinario per sensibilizzare i nostri figli. Ragionare con loro in questa direzione, piuttosto che dargli la posizione delle vittime, è un gesto di grande cultura. Se fai il vaccino salvi delle vite e l’idea di appartenere ad una comunità è il contrario del confinamento. Gli adolescenti devono capire che la vaccinazione è un rituale civile, una prova collettiva da sostenere insieme. Che cosa ci ha insegnato il Covid? Che la libertà non è fare ciò che si vuole, non è una proprietà individuale, non coincide con il libero arbitrio; è sentirsi parte di un insieme, di una comunità» recita M. Recalcati.
A questo proposito rimando alla lettura ”La scomparsa dei riti. Una topologia del presente” del filosofo Byung-chu.
Ascoltiamoli di più gli adolescenti, e se una loro scelta non coincide con la nostra, indaghiamo su come si sono documentati e qual è il fine che vogliono raggiungere compiendola. Esprimiamo il nostro disaccordo, ma motiviamolo, con cura, come chiediamo di fare a loro verso di noi. Il confronto, sano, equilibrato, e volto alla comprensione, ha sempre fatto crescere responsabilmente. A volte, ci ha persino dimostrato che i ragazzi sono da esempio per noi adulti.

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